Escalaplano è un paese di poco più di 2.000 abitanti, a 338 metri sul livello del mare, che fa parte della città metropolitana di Cagliari, nella parte sudorientale della Sardegna.
Il territorio circostante è costituito aridi altipiani delimitati dalle profonde vallate del Flumendosa e del Flumineddu.
In questo territorio pastorale si produce ancora oggi l’axridda un formaggio completamente ricoperto di argilla, che in dialetto sardo si dice, appunto, axridda.
Anticamente a Escalaplano, come nel resto della Sardegna, a causa del clima arido delle lunghe e assolate estati, potevano insorgere problemi per la conservazione del pecorino, che avveniva esclusivamente in locali naturali.
Le famiglie dell’epoca si erano accorte che conciandolo con l’argilla, cavata poco lontano dal paese, il pecorino poteva affrontare più facilmente lunghe stagionature. L’argilla, infatti, protegge il formaggio creando una patina naturale che ne rallenta i processi evolutivi mantenendo un corretto grado di umidità della pasta e difendendola dalle infestazioni di acari e mosche. Infine, consente di ridurre il numero di ribaltamenti del pecorino sugli scaffali di stagionatura.
Da Plinio il Vecchio ai giorni nostri
A raccontarmene la storia è Rino Farci che oggi, con l’azienda agricola Fossada, è rimasto l’unico produttore commerciale di Axridda del territorio. «La nostra storia familiare è stata una storia di pastori e di casari fin dai tempi del mio bisnonno. Mio padre, che pure lavorava in miniera, teneva alcuni capi ovini per un’antica consuetudine (oggi il papà di Rino, Francesco, a 90 anni aiuta ancora in azienda e non manca di dare consigli). E io, dopo gli studi da geometra, ho deciso di continuare, decidendo di portare l’axridda fuori dai confini famigliari, e fuori da Escalaplano, puntando alla commercializzazione di questo prodotto storico, attestato fin dall’epoca di Plinio il Vecchio». Nella Naturalis Historia, infatti, Plinio parla della ricopertura delle forme con l’argilla, una pratica che si è trasmessa di padre in figlio, per arrivare fino a Rino, appunto.
Di mirto, lentischio e corbezzolo

Rino Farci
Ma se guardiamo all’aderenza ai metodi e alle pratiche tradizionali, l’axridda di Rino Farci non è solo questione di conservazione nell’argilla. Le consuetudini sono anche altre, che vanno dalla scelta della razza animale, alla cura del pascolo, fino ovviamente alla produzione a latte crudo, e alla stagionatura in celle naturali. «Oggi allevo circa 300 pecore di razza sarda autoctona, che si nutrono al pascolo brado, approfittando delle diverse essenze che gli altipiani di Escalaplano possono offrire. I nostri pascoli danno mirto, lentischio, corbezzolo, olivastro, rosmarino selvatico… Tutte essenze che si trasferiscono e si ritrovano nel latte delle nostre pecore».
L’axridda di Escalaplano
L’axridda ha forma cilindrica o tronco-conica, con un peso cha va dai 2 ai 4 chilogrammi, anche se esistono forme che raggiungono i 12 chili. La pasta è abbastanza friabile e di colore paglierino, ricoperta da una crosta dura, rugosa e di colore tendente al grigio.
Per produrre l’axridda, si lavora il latte crudo di pecora (esclusivamente di razza sarda) coagulato con caglio di vitello e lavorato a pasta cruda: quando si è formata la cagliata, si rompe in piccoli granuli, si mette in forma e si sala. Dopo la salatura a secco, inizia la maturazione con i consueti rivoltamenti e la pulitura delle forme, prima con acqua tiepida e poi con olio di lentischio (ricavato dalla spremitura delle piccole bacche di questo arbusto, tipico della macchia mediterranea locale). Trascorsi 5-7 mesi si avvolge il formaggio nell’argilla, formando una patina leggermente morchiosa che aderisce elasticamente alla crosta e, dopo almeno un altro mese di maturazione, l’axridda è pronta per essere consumata.
La stagionatura minima è di sei mesi, ma il formaggio dà il meglio di sé nel tempo: forme che arrivano persino a trenta mesi presentano ancora una freschezza di fondo che non viene nascosta dalle note evolute e dalla decisa piccantezza proprie dei pecorini lungamente stagionati. Viceversa, le axridde più giovani, particolarmente dolci, esplodono di sentori erbacei e dell’aromaticità dell’olio di lentischio.
Axridda: un tesoro a latte crudo

Anche sulla lavorazione del latte Rino non ha esitazioni: «Non potremmo mai scegliere di pastorizzare. Equivarrebbe a mortificare la qualità e la vitalità del latte delle nostre pecore. La nostra è una piccola produzione: ho modo di mungere e lavorare in un massimo di mezzora di tempo il latte crudo, freschissimo, dei miei animali (stiamo parlando di circa 80-90 litri al giorno, in totale). Sono convinto, e come me moltissimi altri produttori, che se il latte è buono non ha difetti, ma soltanto pregi: qualità organolettiche, nutrizionali, mille sfumature che un formaggio a latte pastorizzato, per quanto buono, non sarebbe in grado di restituire».
E poi, come dicono in tanti, in “no” al latte pastorizzato ha anche motivazioni economiche. «Noi piccoli produttori siamo già controllati: si effettuano controlli su come svolgiamo la mungitura a mano, la salatura, ogni fase della nostra attività produttiva. Io, nella mia azienda, sono convinto che non riuscirei a sostenere il peso economico del processo di pastorizzazione».
Nell’axridda di Rino Farci ci sono insomma tante componenti, tutte ugualmente irrinunciabili: il pascolo brado, le pecore sarde, il latte crudo, la lavorazione che prevede una prima fase di rivoltamenti e puliture delle forme con acqua tiepida e olio di lentischio, e poi l’avvolgimento nell’argilla, la maturazione in celle naturali. Perdendo una di esse, modificandola, l’unicità dell’axridda non sarebbe più tale.
E forse, non sarebbe più possibile darle il giusto valore sul mercato. «L’axridda è un prodotto che va conosciuto, che va spiegato. Oggi, la vendiamo nel nostro spaccio aziendale dell’Azienda Fossada, oltre ad appoggiarci ad alcuni negozi alimentari di qualità a Villasimius e a Cagliari. La si può anche trovare “in continente”, ma per noi l’importante è diffonderla in negozi che sappiano curarla, e occuparsene, trasmettendo al consumatore finale il valore finale del nostro formaggio».
È un invito per tutti. Diamo valore ai formaggi che acquistiamo, che assaggiamo, che consumiamo. Impariamo a interrogarci sul loro processo produttivo, sul perché di ogni passaggio, e a capire che in ognuno di essi c’è un mondo. Un mondo bellissimo.
di Silvia Ceriani by Slow Food.it