Nella bellissima Valle Maira, in Piemonte, nella provincia occitana di Cuneo, c’è il piccolo borgo di Marmora, che conta meno di un centinaio di abitanti.
In realtà infatti Marmora non è un vero e proprio borgo, ma un piccolissimo “comune diffuso”, formato da diverse frazioni tutte ad oltre 1200 metri slm, collegate tra loro da sentieri e stradine in mezzo ai boschi.
Marmora, un borgo antico pieno di fascino
Il luogo è di origini antiche sconosciute, ma fu certamente occupato dai romani nel corso delle loro mire espansionistiche verso l’occidente continentale; lo stesso nome della località richiama la parola latina “marmor”, riferita a cave di marmo sfruttate probabilmente in quell’epoca.
Il piccolissimo borgo sorse attorno ad un piccolo santuario rurale su una delle tante mulattiere di montagna che in epoca medioevale venne trasformato nella chiesa parrocchiale di San Massimo, mantenendo la preesistente struttura romanica.
La chiesa, isolata a quasi 1600 metri slm, conserva all’interno pregiati affreschi quattrocenteschi, le effigi di diversi santi sotto un portichetto e la curiosa scritta in italiano con cui l’artista quattrocentesco Tommaso Biazaci di Busca conclude la sua opera: “Facendo male – sperando bene – lo tempo passa e la morte viene”.
Marmora e le altre frazioni
Nella frazione San Sebastiano, immersa nel verde lungo una mulattiera, c’è un’antica cappella quattrocentesca con alcuni pregevoli affreschi che rappresentano episodi della vita di Gesù e della vita di San Sebastiano, oltre ad altre pitture riferite a vangeli aprocrifi, come il miracolo della crescita del grano, che pare essere avvenuto durante la fuga in Egitto, non compreso nei Vangeli ufficiali.
Le altre frazioni sono Arata, Arvaglia, Biamondo, Brieis, Finello, Garino, Ponte Marmora, Reinero, San Sebastiano, Superiore, Sodà, Serre, Tolosano, Torello, Urzio, Vernetti.
In epoca medioevale, grazie alla sua posizione isolata, Marmora non venne contaminata dalle varie dottrine eretiche che invece ebbero una forte diffusione nel resto del territorio; la vallata fu dominio dei signori di Busca prima e dei marchesi di Saluzzo poi, i quali nel 1600 cedettero ai Savoia che la diedero in feudo ai Ferrero di Biella; il suo isolamento ha anche consentito la conservazione del patrimonio architettonico del borgo e delle frazioni, come anche di molte tradizioni che si richiamano alla cultura occitana.
Sin dal periodo medioevale Marmora è stato un comune prospero e popoloso, giunto ad avere oltre 1000 abitanti ad inizio ‘800, con numerose attività artigianali legate soprattutto all’economia rurale e montana; negli anni a cavallo tra l’otto e novecento iniziò il periodo della grande emigrazione verso la vicina Francia e le Americhe, che hanno ridotto il paese alle poche decine di abitanti attuali.
Il turismo porta vita e prosperità
Attualmente Marmora è un territorio che vive ancora di agricoltura e pastorizia e che ha trovato nel turismo una nuova fonte di benessere; sparse nelle sue frazioni e nelle montagne sono sorte molte attività ricettive tra locande e agriturismi, frequentati da molti escursionisti che amano la Valle Maira e le sue montagne, disseminate di sentieri, percorsi per mountain bike, trekking, sci alpinismo, così come apprezzano i tanti prodotti tipici della valle.
Nelle malghe, in estate viene ancora prodotto un tipico formaggio d’alpeggio, fatto dai “malgari” gli allevatori di bestiame che d’estate portano i bovini sui pascoli di alta montagna, ai quali è dedicata lanche a “Sagra del malgaro” in agosto, che richiama numerosi turisti, così come la festa religiosa di San Massimo, quando agli ospiti del piccolo borgo vengono proposte le prelibatezze della cucina locale.
La gastronomia tipica
Quella di Marmora è una gastronomia le cui radici sono antiche e che risentono della cultura e della tradizione occitana e provenzale; tra i tanti piatti troviamo i Ravioles e il Civet, un tipo di cottura stufata, riservata alla lepre e alla selvaggina di pelo, che prevede una legatura finale con il sangue e il fegato tritato dell’animale.
Ma sono tanti i piatti della tradizione locale, come il “Lou Chet” una focaccia dolce di farina farina di segale; la “Tourto”, sformato di verdure e carne; “Trifoulos e macheroun”, cioè patare e maccheroni; la “Ciantarelos”, una minestra tipo stracciatella oppure le frittelle zuccherate chiamate “Bignos”.