Taranta Peligna sorge nella valle del fiume Aventino, in provincia di Chieti, in Abruzzo; il suo territorio si estende per 21,65 Kmq., su un’area prevalentemente montuosa ricca di grotte tra le quali quella del Bove, dell’Asino e del Cavallone o della Figlia di Iorio, di memoria dannunziana.
Un po’ di storia
Taranta Peligna è stata interessata da insediamenti sin dalla preistoria, come documenta il relitto, un’ascia di bronzo a margini rialzati, ascrivibili alla prima metà del secondo millennio. Nel XII secolo, come Tarantam, fu feudo di un milite tenuto dalla potente e bellicosa schiatta dei figli di Manerius de Palena, subfeudatario di Boemondo conte di Manoppello.
Nel XIII secolo fu feudo di Berardo di Acciano e di Enrico di Portella. Nel 1316, Niccolò di Acciano possedeva la metà del paese e successivamente ne acquista una sesta parte da Roberto Morello e Bernardo di Lama, allora Giudice della Grande Corte della Vicaria, mentre, nella prima metà del XV secolo fu feudo dei Caldora e poi di Ferdinando d’Aragona e successivamente dei Malvezzi, aristocratici bolognesi, imparentati con i Medici di Firenze. Nel XVIII secolo fu parte dei beni della famiglia d’Aquino che lo tenne fino al termine della feudalità.
La lavorazione dei tessuti
Il paese è ricordato soprattutto per la caratteristica lavorazione dei tessuti, le tarante o tarantole, tipiche coltri di lana, che diede alla popolazione una notevole agiatezza, manifestata dai pregevoli monumenti superstiti, quali la facciata della chiesa di San Nicola, il portale della cinquecentesca chiesa di San Biagio e il crocifisso su tavola di Antoniazzo da Romano nella chiesa della Trinità.
Sulla strada per Lettopalena appena usciti dal paese, una stradina a destra porta alle sorgenti acque vive, delle polle sorgive che scaturiscono direttamente dalla terra creando un ambiente spettacolare.
Sospesa a mezza altezza sul fianco sinistro del vallone di Taranta si trova la Grotta del Cavallone che mostra la sua straordinaria bellezza attraverso un suggestivo spettacolo di stalattiti, stalagmiti e cavità i cui nomi si ispirano ai personaggi della tragedia dannunziana, La Figlia di Jorio, qui ambientata per tutto il secondo atto.
Le Panicelle di San Biagio
Tanti gli eventi organizzati per incrementare un turismo crescente in quest’angolo della Maiella, come la Festa della Madonna della Valle, la Festa di San Rocco, la Festa di Sant’Ubaldo e quella delle Panicelle di San Biagio, che sono dei piccoli e graziosi pani, preparati con cura da tutta la popolazione e ai quali viene data la significativa forma delle quattro dita della mano unite tra loro. A tale scopo nei pomeriggi precedenti al 3 febbraio, donne e uomini si riuniscono e, in un’atmosfera gioiosa, si cimentano nel modellare la pasta. Poi, come vuole la tradizione, le forme vengono avvolte in tovaglioli bianchi ed in panni di lana, posizionate su delle assi chiamate piatene e portate in processione al forno dove avverrà la cottura, da un corteo di ragazze e ragazzi vestiti in costume tipico. La fiaccolata, che illumina festosamente il paese, è seguita da tutta la popolazione. Il 3 febbrai, poi, si tengono tutte le funzioni religiose e, dopo la benedizione, questo squisito alimento viene distribuito ai fedeli che lo mangiano al fine di ottenere l’aiuto del Santo contro i mali della gola.