La pandemia del Covid–19 si è fatta sempre più preoccupante e impattante nel mondo, costringendo intere nazioni a sforzi immensi per contrastare l’esplosione del Coronavirus.
È il mondo occidentale, libero, democratico, in particolar modo ad essere sotto pressione, perché spesso non è attrezzato materialmente, e psicologicamente, a contrastare una simile evenienza.
Corollario di questa battaglia è il necessario contrasto al blocco economico causato dalle misure di “distanziamento sociale” introdotte per frenare l’esplosione dell’epidemia, che hanno portato al blocco di interi pezzi di tessuto imprenditoriale.
Le maggiori economie stanno mettendo in campo quantità enormi di liquidità monetaria per impedire che il “granellino di sabbia” che ha inceppato con il suo arrivo rodati sistemi capitalistici possa portarli al blocco definitivo, accelerando così la crisi che sia annuncia già pesante.
Banche, società di analisi, centri di previsione e organismi economici sovranazionali si stanno esercitando in predizioni sull’andamento del Prodotto interno lordo delle maggiori economie, con numeri che francamente sembrano al momento essere molto pesanti, per quanto tutto sommato aleatori, perché nessuno sa esattamente cosa succederà nel 2020.
Le previsioni della Barclays
Tra queste, la banca inglese Barclays – una delle più vicine al mondo del largo consumo a livello internazionale – la quale ha provato a fare qualche previsione su alcune delle maggiori società del food & beverage europeo quotate in Borsa, per cercare misurare in qualche modo gli impatti di questa pandemia sulle vendite.
Si tratta certamente di un esercizio complicato in questo momento, e quindi dal risultato incerto, ma quest’analisi ha il pregio di fissare alcuni punti sui quali poi ragionare per comprendere quanto saranno o meno vicini alla realtà.
I big del beverage
Il settore che subirà i maggiori impatti, a detta del team di analisti di Barclays, è quello delle bevande, mentre il settore del food riuscirà a contenere meglio il calo di fatturato.
La banca inglese assegna la maglia nera di questa speciale classifica di calo dei ricavi proprio a Campari, la multinazionale milanese che ha fatto fortuna nel mondo grazie ad Aperol.
La società paga la sua alta esposizione alle vendite cosiddette “on trade” (pubblici esercizi di vario tipo) distribuite su mercati dove le chiusure dei locali sono state stimate in media tra il 60 e il 70 per cento.
Ovvero partendo da un valore dell’80% in Italia fino a scendere al 50% negli Usa e passare attraverso altri importanti mercati dove le chiusure sarebbero in media del 70 per cento.
Secondo Barclays il gruppo italiano perderà, quindi, il 67% dei ricavi durante il periodo di chiusura; Campari non ha voluto fornire stime di impatto dell’epidemia perché sarebbe “prematuro” in questa fase, specificando comunque che i target 2020, già comunicati, “non potranno restare invariati”.
Sarebbe minore, secondo Barclays, l’impatto del Covid–19 sulle altre tre grandi società degli spirits europee, ovvero l’inglese Diageo e le francesi Pernod Ricard e Remy Cointreau.
Le loro vendite sono molto meno concentrate geograficamente rispetto a quelle di Campari e dipenderebbero molto meno dal canale on-trade. Nel dettaglio, le vendite di Diageo dipendono per il 3% dalla Cina e per il 4% dal canale del travel retail, molto impattate dal virus, mentre il 93% arriva da mercati dove la società è molto più esposta ai canali off trade (75% tra supermercati, negozi specializzati, online) che all’on trade (25%). Per questo motivo il calo di vendite dovrebbe essere contenuto al 29 per cento. Diageo a fine febbraio ha comunicato che, stando alle prime stime, la perdita di ricavi da Covid-19 dovrebbe essere compresa tra 225 e 325 milioni di sterline (250 – 360 milioni di euro).
Sarebbe, invece, del 36% il fatturato a rischio di Pernod Ricard e Remy Cointreau: la prima perché leggermente più esposta al “travel retail” e alle vendite on trade mentre la seconda più esposta alla Cina, che vale il 24% dei suoi ricavi da sola, e meno esposta alle vendite on trade.
Pernod Ricard, che ha recentissimamente investito nel liquore italiano a base di bergamotto Italicus, non ha fornito una stima puntuale delle perdite di ricavi, limitandosi a confermare la debolezza della Cina e del travel retail, aggiungendo che anche il canale off trade avrebbe comunque perso parte del fatturato (10% circa) fino a metà maggio.
Il mondo della birra
Il mondo della birra, rappresentato da Heineken, Carlsberg e Ab Inbev è invece più in linea con le percentuali di perdite previste per Campari, avendo anche loro una grossa esposizione, un po’ in tutto il mondo, al canale on trade.
In particolare il 65% per Heineken e Carlsberg e del 55% per Ab Inbev, leggermente più “protetta” grazie al maggior peso sul mercato americano dove il canale off trade pesa di più.
Heineken e Carlsberg non hanno fornito stime al momento, mentre Ab Inbev (Stella Artois, Beck’s, Corona) ritiene di aver perso 285 milioni di dollari Usa di vendite in Cina nei primi due mesi dell’anno e sta seguendo l’evoluzione dell’epidemia fuori dai confini cinesi.
Fuori dal mondo degli alcolici risalta la previsione per Coca-Cola Hbc, l’imbottigliatore greco-svizzero presente con un’importante filiale anche in Italia, la cui quota di vendite nel canale on trade è pari al 35 per cento. Cifra confermata dalla stessa società, che ha preferito però non fare nessuna stima sulla perdita di ricavi derivante da questa pandemia.
E quelli del food
È decisamente migliore la situazione delle società prese in esame da Barclays che sono maggiormente orientate al food. Tralasciando il caso dell’inglese Associated British Foods, il cui fatturato è in sofferenza perché ha dovuto chiudere la controllata Primark, presente anche in Italia con i suoi grandi magazzini, le prospettive peggiori sono, per gli analisti, a carico di Unilever, la cui divisione Food & Refreshments, che da sola vale il 38% di tutte le vendite del gruppo, ha un’esposizione pari al 40% sul fuoricasa. Si pensi, ad esempio, a tutto il mondo dei gelati (Algida e Grom in Italia), dal consumo importante nei pubblici esercizi, ma non solo: la divisione foodservice del gruppo anglo-olandese è molto importante, e sta ovviamente soffrendo un po’ in tutto il mondo in questo momento. La banca inglese crede che il gruppo possa avere un calo del 16% circa delle vendite nel periodo di chiusura e quarantena. Il gruppo non ha al momento fornito alcuna stima dell’impatto Covid–19 sulle vendite.
Per Danone, invece, il calo sarebbe del 12 per cento; i maggiori problemi dovrebbero arrivare dalla divisione acque che ha, nelle stime della banca, un’esposizione del 50% al mondo del fuori casa, con punte in Cina per il brand Mizuno. Le altre divisioni hanno un’esposizione bassa a vendite e canali a rischio molto basse, essendo molto sbilanciate sulla grande distribuzione. Per la società il 2020 sarà un anno dalle condizioni economiche “particolarmente volatili” per il rallentamento congiunturale in atto in alcuni Paesi, con l’aggravante dell’arrivo della pandemia da Covid-19.
Il settore foodservice di Nestlè vale, secondo le stime, il 5-6% del fatturato totale del gigante svizzero dell’alimentare, ed è concentrato nella zona “AOA” della sua suddivisione commerciale. La più ampia e popolosa, dato che comprende Asia (Medio Oriente escluso), Oceania e tutta l’Africa sub sahariana. Per questo canale Barclays si attende un calo del 70% delle vendite durante il primo semestre dell’anno.
Aree di impatto decisamente minore sono nel caffè, dove i negozi Nespresso sono stati chiusi e dove, in totale, le vendite nel fuori casa sono stimate pari al 20% del totale, nell’acqua dove alcuni grandi brand tipo Sanpellegrino e Perrier hanno una forte esposizione nel mondo horeca, nel confectionery (Perugina, Kit Kat in Italia) per ciò che è venduto nel canale delle pasticcerie e, infine, nei gelati per tutto ciò che non è stato ceduto alla joint venture Froneri, dove sono passate anche le attività italiane.
Tutto sommato, per Barclays le attività a rischio Covid–19 pesano per l’8% dei ricavi totali del gruppo, che ha una larghissima esposizione nel canale gdo, è in grado di calmierare gli effetti. La società ritiene di non poter quantificare, al momento, gli effetti sulle sue vendite.