Agli albori dell’anno Mille, proprio quando sembrava avvicinarsi la temuta fine del mondo, mentre fiorivano racconti popolari, superstizioni e profezie, un gruppo di uomini, donne e bambini di origini probabilmente germaniche, i Walser, decise di scavalcare le montagne ed insediarsi nella Valle del Goms, sul versante meridionale delle Alpi nord-occidentali.
La popolazione Walser era forse costituita dali ultimi discendenti dei Sassoni che dalle Alpi Svizzere, tra il Gottardo e l’Oberland Bernese, migrò verso l’Italia che non era ancora tale; questa gente non scelse le pianure o gli alpeggi più bassi, ma salirono alle quote più alte e inospitali, dove fondarono le loro prime colonie, plasmando e addomesticando la montagna.
Walser, l’esodo verso la bassa
Alcuni secoli più tardi piccoli gruppi di coloni cominciarono a spingersi verso sud alla ricerca di nuovi pascoli e nuove terre coltivabili ed alla fine del ‘400 si contavano ben quaranta colonie Walser nel territorio che oggi è la Val d’Aosta e l’alto Piemonte, non osteggiati da chi già viveva in quei territori.
Il popolo Walser costruì dei piccoli borghi sulle vie di transumanza ed erano autosufficienti e “indipendenti”, slegati da nobili e potenti e conservarono quasi intatto il loro retaggio culturale, che influenzò spesso anche quello delle popolazioni autoctone; i prodotti in eccesso del loro lavoro, provenienti dall’agricoltura e dall’allevamento, venivano rivenduti alle fiere dell’arco alpino di cui erano assidui frequentatori.
Costruirono strade, ponti, passerelle, gradinate, ripari dove esistevano solo dirupi scoscesi e proibitivi per gli uomini come per gli animali, creando così nuove vie e nuovi percorsi per collegare gli abitati tra di loro e con gli altri centri; terrazzarono i pendii delle montagne per coltivarvi, senza quasi l’uso dell’aratro, la segale invernale, alternata a orzo, miglio, avena e qualche legume. Crearono vasti prati erbosi per il bestiame dal cui latte producevano formaggi e latte e boschi per l’approvvigionamento di legna da ardere e per costruire.
Walser, un popolo attivo orgoglioso delle sue radici
Vivevano in abitazioni parte in mura di pietra e parte in legno, coperte da un tetto altrettanto di pietre, in cui coesistevano il ricovero per gli animali al piano terra e una grande stanza per la famiglia, organizzata intorno al focolare, al piano superiore.
Proprio là nelle loro “stube”, durante i gelidi inverni si tramandavano le storie della loro cultura, una vasta raccolta di piccoli miti e grandi misteri, di animali mitologici, di ombre e di rumori nei boschi.
Walser, partita la richiesta all’Unesco
Mille anni dopo quei primi coloni, i Walser sono ancora orgogliosi della propria lingua, della propria cultura, della propria gastronomia, tanto che vogliono farla diventare patrimonio dei «Beni Immateriali» dell’Unesco.
È questa infatti la sfida in cui si è lanciato “il popolo senza frontiere“ delle comunità Walser che abitano le valli del Monte Rosa e della Valle Formazza, discendenti di quelle popolazioni di origine germanica, da Macugnaga a Formazza, da Gressoney a Issime, dove oggi ci sono gli eredi di quella cultura millenaria che vogliono valorizzare con un riconoscimento internazionale.
L’Unesco non è un promoter turistico, ma il suo ruolo, che punta molto anche sulla valorizzazione del patrimonio «immateriale» delle minoranze etnico-linguistiche storiche italiane nelle quali è stata inserita quella dei Walser, nell’ambito del progetto degli «Italiani dell’altrove», può senz’altro dare un contributo rilevante alla salvaguardia di questo patrimonio storico, artistico, culturale che, in fin dei conti, appartiene a questo antico popolo, ma arricchisce tutti noi.