Oggi vi accompagno in un ristorante particolare, tipico, di eccellenza, gustoso… eccome!. Qui si magnifica la carne che parla le lingue di tutto il mondo, dall’italiano all’australiano, dal giapponese allo svedese, all’ungherese, all’americano. Carni pregiate, le migliori del mondo, Manzo Wagyu giapponese, raro e costoso, consistenza tenera e un sapore ricco e burroso; Angus scozzese, dall’ottimo equilibrio qualità/prezzo, con un sapore robusto, deciso e più adatto a diverse preparazioni; Angus piemontese, apprezzato per la sua tenerezza, sapore e la sua marezzatura, con le venature di grasso distribuite in modo ottimale all’interno del tessuto muscolare, etc..

Roberto Pintadu, titolare e chef del ristorante Bifrò
Mi trovo da Bifrò, In Via Mazzini, a Torino. Un ristorante di gran qualità, condotto egregiamente dallo chef Roberto Pintadu, sardo di nascita ma piemontese di adozione. Roberto è uno studioso della carne, dei processi di cottura, delle tecniche di frollatura, oltre che un incredibile appassionato di questo settore. “I tempi di cottura di una carne non esistono; ogni pezzo di carne, anche dello stesso lombo, ha caratteristiche diverse, spessori diversi, quindi è impossibile dare un tempo. Io vado a sentimento e lo faccio a vista dietro ai vetri. Tutti possono constatare”, afferma lo chef.
“World’s 101 Best Steak Restaurants” lo colloca al 37° posto, nel mondo, nel 2024: un traguardo che premia Roberto Pintadu e la sua carne, anche se lui è un po’ scettico sul tema e afferma: “Mi sento di dire che queste classifiche lasciano il tempo che trovano. In queste classifiche ti vogliono indirizzare verso una loro strada, ma il locale è mio e la strada voglio sceglierla io”.
Roberto è un personaggio dal carattere deciso, determinato, sceglie di fare quello in cui crede e davanti all’enorme griglia si muove come fa un pianista virtuoso davanti alla tastiera magica del suo pianoforte. Esprime consapevolezza di quello che fa e un virtuosismo straordinario.
Ho assaggiato diversi piatti, diversi tagli, diverse carni e se devo esprimere quello che penso sono del parere che da Bifrò, gli amanti della carne sono obbligati ad andare a mangiare, è un’esperienza del gusto che non può mancare!.

La carne è servita. Credits Andrea Di Bella
Durante la cena ho voluto saperne di più su questo mondo carnivoro, sulle scelte di Roberto, sulla sua vita migratoria, sulla passione che lo governa. È venuta fuori l’intervista che segue: risposte per nulla scontate, molte volte ribelli. D’altronde se Roberto non fosse stato così, forse, sarebbe rimasto nella sua meravigliosa isola.
L’INTERVISTA
Roberto, da dove nasce l’idea della carne, del proporla in ristorante?
“Devo ammettere che è una passione che mi porto dietro da bambino. C’è da dire che io provengo da Tula, un paese di 1800 anime, in provincia di Sassari, in Sardegna, ed era consuetudine ritrovarsi nelle case di tanti dove c’era il classico camino, si comprava la carne e si grigliava tutti insieme: era un divertimento tra famiglie, un modo conviviale di stare insieme. Io ero solitamente addetto ai fuochi, mi riusciva bene. Volevo frequentare l’Istituto Alberghiero, ma l’eccessiva distanza tra Tula e Alghero mi ha costretto a cambiare idea e ho studiato Ragioneria. Il mio primo lavoro mi ha portato a vestire la divisa della Guardia di Finanza, per 7 anni, con in testa, però, il sogno della cucina. Nella vita non tutto viene per caso e così conosco una persona (che poi sarebbe diventata mia moglie), appassionata di campagna e di cucina, con cui mi sono trasferito in Piemonte, a Clavesana (Cuneo) per aprire un agriturismo. Era il 2001. Non ero più finanziere, ero diventato agriturista”.
Beh, una prima giovinezza abbastanza dinamica, dalla Sardegna al Piemonte, dal servire lo Stato all’apertura di un agriturismo… e poi la frollatura della carne…
“… ma non è finita qui! Mi separai da quella persona, abbandonai l’agriturismo, e dopo un breve periodo in cui ho fatto l’agente di commercio ho conosciuto la mia attuale moglie. Con lei, era il 2014, abbiamo preso in gestione un antico mulino a Villanova d’Asti riproponendo il format dell’agriturismo dove ho ricominciato a grigliare carne. Ma c’era un problema: la clientela, a Villanova, era abituata a dei menu tradizionali piemontesi; la nostra proposta della carne alla griglia piaceva ma non troppo. Mi sono trovato ad un bivio: continuare o lasciare. L’antica passione mi portava a continuare, volevo gestire le bistecche, i lombi, non sotto vuoto ma a pezzi interi. Nasceva il problema della conservazione che fu superato attraverso l’uso di macchinari specifici. È stato il momento in cui ho cominciato a volare”.
Sto pensando alla tua Sardegna: quanto quella terra d’origine ha influenzato le tue scelte?
“Quasi tutte!. La passione arriva da lontano, come dicevo, da bambino; ma poi assieme a mia sorella e a mio fratello, che vivono in Sardegna occupandosi di gastronomia, ho la fortuna di avere una grande mamma, ma anche un’eccellente cuoca che ci ha insegnato tante cose, tanti segreti. È stata sempre una nostra favolosa compagna di viaggio”.

Roberto Pintaudo alla griglia. Credits Andrea Di Bella
Carne protagonista, quindi: quali sono le proposte di Bifrò, come prepari la tua carne?
“Essenziale è la gestione del fuoco; noi lavoriamo a carbone di legna. Non esiste controllo automatico delle cotture, pur ritenendo importante la tecnologia. Lavoriamo di esperienza, ci affidiamo al senso di padronanza della professionalità, cerchiamo di fare a meno dell’elettronica in cucina. C’è molta manualità nelle nostre preparazioni. I tempi di cottura di una carne non esistono; ogni pezzo di carne, anche dello stesso lombo, ha caratteristiche diverse, spessori diversi, quindi è impossibile dare un tempo. Se qualcuno non ha avuto la fortuna di sapere cuocere a occhio, si avvalga della tecnologia. Io vado a sentimento e lo facciamo a vista dietro ai vetri. Tutti possono constatare”.
So che tieni molto al dialogo coi fornitori. Sei intransigente
“È proprio così. Come io ho una storia da raccontare, anche loro hanno da narrare il loro percorso gastronomico. Più la narrazione si fa intensa, reciproca, più risultiamo interessanti, trasparenti, consapevoli. E tutto questo fa piacere alla gente che varca la soglia di questo locale”.
Roberto, sto osservando la targa dietro i vetri della tua cucina: il 37° posto, nel mondo, assegnato al tuo Bifrò dal “World’s 101 Best Steak Restaurants”, nel 2024. Sei nell’Olimpo della ristorazione carnivora mondiale, un gran bel traguardo!
“Sarò sincero! Sono quelle cose che ti fanno sicuramente piacere, perché rappresentano dei traguardi come hai detto. Però, se devo dirla tutta, a cinquant’anni mi sento di dire che queste classifiche lasciano il tempo che trovano. Sono abbastanza scettico su questi risultati; ci sono, penso, trecentomila griglierie in tutto il mondo e mi chiedo come si faccia a stilare una classifica del genere. In fondo, sono essere umani che le compilano. Non ci credo molto. Devi sapere che ho diversi riconoscimenti anche a livello nazionale e non ho esposto nessuna targa o pergamena. Sono per le cose limpide, chiare, pulite, non credo nelle recensioni del pubblico. In queste classifiche ti vogliono indirizzare verso una loro strada, ma il locale è mio e la strada voglio sceglierla io”.
Chi viene a mangiare nel tuo locale cosa deve aspettarsi?
“Qui deve entrare chi cerca un’esperienza mirata sulla carne cotta alla griglia. Alcune volte capita di entrare in un locale che propone carne alla griglia ma non ha neanche il grigliatore. Se vuoi mangiare carne lavorata col fuoco devi venire da Bifrò: è uno dei posti di Torino dove puoi trovare questo. Carni di tutto il mondo con un’attenzione particolare per il made in Italy. Perché non aprire le porte al mondo?”.

Roberto Pintadu al taglio. Credits Andrea Di Bella
Ho avuto il piacere di intervistare una persona che non si nasconde, schietta, pulita, molto professionale e preparata. Voglio chiudere con una provocazione: in un mondo gastronomico che strizza l’occhio al vegetariano, al vegano, la carne che ruolo continua a rivestire?
“Sicuramente un ruolo molto importante. Gli onnivori, nel mondo, siamo, in numero, tantissimi, molti di più che vegani e vegetariani messi assieme. Non tutti i ristoranti devono essere per tutti. Secondo me è anche bello che ciascuno segua la propria filosofia del cibo e che esistano ristoranti mirati. Qui da Bifrò, il vegano fa fatica per una questione di carni esposte, ma un vegetariano da noi mangia e ha tanta scelta. Bifrò ha in menu 12 piatti di verdure, perché, secondo la mia convinzione, è essenziale che la carne sia accompagnata da verdure, sempre”.
Terminiamo mettendo sul piatto il tema della carne coltivata. Bifrò resterà sempre così? O potrà diventare, in futuro, Bicolt?
“Dico no, decisamente, perché ho avuto una brutta esperienza in Sardegna a seguito di un’altra intervista. Avevo detto delle cose, ma ne erano state scritte altre. Il testo era un po’ ambiguo. In paese ho rischiato il linciaggio (mentre pronuncia queste parole, Roberto ha il sorriso sulle labbra N.d.r.). Continuo a sottolineare il principio per cui ciascuno è libero di seguire paradigmi differenti. Ognuno può creare l’offerta gastronomica come meglio crede, attingendo alle materie prime che vuole. Mi sento di affermare che Bifrò, oggi, non ha bisogno di presentare un piatto in più, di quel genere. Lasceremo lo spazio a dei colleghi che vogliono sperimentare; io non penso di utilizzare quel tipo di carne. Avessi la possibilità di assaggiare, lo farei per una mia curiosità personale”.
Grazie chef.