Un convegno sulla vinificazione dei vitigni bianchi del Torinese, sulla loro storia, nonché sull’iter di ottenimento delle nuove tipologie della Doc Pinerolese, Bian ver e Malvasia, si è tenuto a Torino, a Palazzo Birago, sede istituzionale della Camera di commercio di Torino.
Moderati dal giornalista Alessandro Felis sono intervenuti il professor Vincenzo Gerbi, l’ampelografo e ricercatore Stefano Raimondi, l’enologo Gianfranco Cordero e il presidente della Fondazione Malva Arnaldi, Danilo Breusa.

Convegno Bianchi di Torino Doc. Credits Andrea Di Bella
Focus su Bian ver e Malvasia (Moscata e di Candia Aromatica), nuove Doc Pinerolese, con la vendemmia 2024. Masterclass, condotta da Mauro Carosso, Presidente AIS Piemonte, per approfondire caratteri e peculiarità delle neonate tipologie della Doc Pinerolese. Per chiudere, degustazione libera dei bianchi della Torino Doc..
“Molta felicità sia agli homini che nascono dove si trovano i vini buoni”. Questo non lo dico io ma lo pronunciò quel genio di Leonardo da Vinci. Ricordiamoci, quindi, che dietro a ogni grande vino si nasconde un grande lavoro dell’uomo, fatto di ricerca enologica, tecnica e scientifica.
L’Italia è uno dei Paese più ricchi di biodiversità della vite, ma anche uno di quelli in cui i vitigni che vi sono coltivati da lungo tempo connotano fortemente i territori di produzione. Nel “raccontare” un vino italiano, quindi, deve trovare spazio la storia del vitigno o dei vitigni di origine: diventa così una narrazione seducente.
I VITIGNI IN PIEMONTE
I territori sottomessi all’arco alpino occidentale presentano una ricchezza ampelografica straordinaria.
Il Conte di Rovasenda nel 1887 descrisse il complesso panorama varietale Pinerolese nel “Saggio di ampelografia universale” e promosse a Pinerolo nel 1881 una Mostra Ampelografica nella quale furono esposti 628 esemplari di uve, di cui 333 descritti come autoctone o di importazione sconosciuta.
L’erosione genetica ha notevolmente ridotto il ricco patrimonio allora riconosciuto ma il numero di varietà presenti in queste zone resta ancora significativo. Alcune uve hanno un indubbio valore agronomico o enologico; le potenzialità di molte altre non sono note.
Il lavoro condotto per decenni dalla Università di Torino e dal CNR ha consentito di identificare i vitigni, di indagare le attitudini enologiche di alcuni di essi e di definire le relazioni genetiche con varietà note.
Al pari del clima, delle caratteristiche del suolo, delle pratiche colturali ed enologiche usate in un certo luogo, le varietà di uve coltivate contribuiscono a dare al vino prodotto in un determinato luogo delle caratteristiche specifiche, uniche, non riproducibili, che sono alla base della tipicità.
Se alcune importanti informazioni sono arrivate fino a noi, dobbiamo dire grazie alle preziose ricerche condotte da Anna Schneider, Franco Mannini e Stefano Raimondi, ricercatori presso CNR – Istituto di Virologia Vegetale di Grugliasco.

Stefano Raimondi al convegno. Credits Andrea Di Bella
“Veniamo da anni in cui i vini bianchi erano relegati in un angolo – racconta l’ampelografo del CNR, Stefano Raimondi -, un po’ perché si è sempre pensato che il Piemonte non fosse terra di bianchi, tranne alcune eccezioni, e un po’ perché la vinificazione risulta più impegnativa, complicata. Questo è assolutamente falso, in quanto il primo vitigno che viene citato in Piemonte e tra i primissimi in Italia, è un bianco, oggi forse scomparso, il “gragnolato”, tipico della zona del Tortonese, nell’Oltrepo Pavese. Ma in epoca rinascimentale, i pochissimi nomi di vite che compaiono nei documenti riguardano varietà a bacca bianca, i renesi e le malvasie. Gli studi ampelografici raggiungono l’apice nell’Ottocento. E oggi come si presenta lo scenario?”.
“Beh, grazie al contributo di Anna Schneider, la più grande ampelografa italiana e ricercatrice CNR per 18 anni, in Piemonte abbiamo individuato un certo numero di varietà minori, rare, che si stavano perdendo. Abbiamo classificato i vecchi vitigni Molti di questi genotipi sono conservati nella Collezione Ampelografica Regionale Piemontese, presso la tenuta del Castello di Grinzane Cavour. Una conservazione preziosa per studiare relazioni genetiche e origine, importanti per delineare la storia, per la promozione del vino”. Il vigneto-collezione è un museo a cielo aperto che custodisce un tesoro estremamente prezioso: oltre 500 vitigni del patrimonio genetico dell’Italia Nord Ovest, tra cui molti minori, rari e a rischio di estinzione”.
LA DOC PINEROLESE: IL BIAN VER E LA MALVASIA
IL BIAN VER
Si tratta di una cultivar tipica del Pinerolese, nella Val Chisone (Pomaretto e Perosa Argentina), dove è rimasta sporadicamente in coltura fino ai nostri giorni, presente alquanto sporadicamente nell’alta Valle di Susa. I nomi fanno evidente riferimento sia al tono verde scuro della vegetazione che alla colorazione delle uve, che aggiungono a un fondo verde, quando ben esposte, bei toni dorati. L’interesse per questa cultivar nasce dalla capacità di fornire vini strutturati e con un profumo intenso, con note di agrumi ed erbe. A ciò si aggiunge la caratteristica di accumulare molti zuccheri pur mantenendo un’acidità notevole dei mosti. L’interesse per la varietà è alto, anche in virtù del fatto che è piuttosto rustica e tollerante alle patologie fungine e fitoplasmatiche.
Il Bian ver è un vitigno mediamente vigoroso che si adatta bene ad essere allevato a spalliera. La fertilità è buona, ma non elevata; non è un vitigno di forte produttività, ma capace di dare uve alquanto zuccherine, dotate di un sapore originale, assai gradevole. Viene vinificato insieme ad altri vitigni per dare un bianco generalmente destinato al consumo famigliare. Le esperienze di vinificazione in purezza condotte nel Pinerolese, hanno portato ad un vino decisamente interessante: alcolico, ben strutturato, sapido, di vivace acidità.
LA MALVASIA
“L’impronta varietale data dall’uva utilizzata per la vinificazione è uno degli elementi di maggiore impatto sull’espressione delle note organolettiche dei vini. Se poi la varietà di vite è un vecchio vitigno ‘dimenticato’, uno di quelli quasi scomparsi dai nostri vigneti per effetto della modernizzazione nell’assortimento, ma di locale valore storico e culturale, allora la questione si fa ancor più affascinante“. Questa è un’affermazione di Anna Schneider che ha condotto uno studio sull’attività di recupero, caratterizzazione e conservazione del germoplasma della Malvasia Moscata.
È un vitigno di grande importanza storica, significativo valore agronomico ed enologico per il Piemonte, citato a partire dal 1600. È ancora presente in tutto il Piemonte, dal Pinerolese al Tortonese. Produce grappoli piuttosto voluminosi e con acini medio-grandi, buccia pruinosa, consistente, di colore giallo verdastro, che diventa dorato o addirittura ambrato quando i grappoli sono ben esposti al sole. Se vinificata in purezza con completamento della fermentazione alcolica, origina un vino secco singolare, alquanto originale, con pregevoli note olfattive floreali, fruttate e vegetali, e una rilevante e persistente aromaticità.
La Malvasia è più vigorosa e produttiva rispetto al Moscato, con cui condivide il sapore intensamente aromatico ed è meno sensibile agli attacchi di muffa grigia e ai marciumi. Le sue uve possono essere destinate alla produzione di vini dolci (filtrati dolci o passiti), ma la destinazione più interessante è forse quella per la produzione di vini secchi che, pur mantenendo un intenso profumo di tipo moscato, mancano delle note amare che caratterizzano simili tipologie prodotte a partire dal Moscato bianco.
LA MASTERCLASS
Condotta da Mauro Carosso, sono stati serviti alla cieca 4 vini, 4 varietà, mischiate, una Malvasia, un Bian ver del Pinerolese, un Baratuciat dell’Alta Val di Susa e un Erbaluce fermo del Canavese. In una seconda batteria sono state degustate 4 Malvasie di produttori diversi; in chiusura è stato servito un Passito di Malvasia Moscata.

Mauro Camusso e la Masterclass. Credits Andrea Di Bella
Veniamo al territorio della Doc Pinerolese, con le parole di Mauro Carosso, “Riprendendo un’antica tradizione di vinificazione, di viticoltura, anche eroica, questo territorio del Piemonte ha un aspetto molto affascinante, seducente. Oggi il vino va a braccetto col territorio, inteso non solo come paesaggio, ma anche come storia, cultura, aspetti architettonici. E la presenza dei Valdesi, lì, ha accresciuto la ricchezza e l’importanza di quella zona montana della provincia di Torino. Questo è l’Alto Pinerolese di Pomaretto. Poi il Basso Pinerolese fino alle porte di Torino, a Cumiana, ove Barbera, oggi anche di Nebbiolo, il Doux d’Henry, dedicato forse a Enrico II, re di Francia quando Pinerolo passò per la prima volta sotto il controllo francese. Infine i festeggiati di oggi, Bian ver e la Malvasia. La Doc Pinerolese sfora nella provincia di Cuneo, a Barge e a Bagnolo, territorio culturalmente legato al Pinerolese, per motivi storici, territoriali ma anche geologici”.
“Il Bian ver è un vino molto neutro, esprime un carattere olfattivo con poco carattere aromatico. Mostra una certa florealità appena segnata da sensazioni di finezza, molto verdi, nella versione giovane. Nel tempo evolve ma non sarà mai caratterizzato da profonda freschezza e acidità”.
“La Malvasia Moscata è certamente un vino aromatico, caratterizzato da un profilo olfattivo che suggerisce note di frutta matura, floreale, fruttato, con sentori di rosa e di pesca, di salvia, di acacia. Caratteristiche che ritrovo nel calice. Molte note che riconosciamo nel Moscato”.